Alzi la mano chi girovagando tra i social network non si è mai imbattuto in un meme. Stiamo parlando di quelle immagini goliardiche accompagnate da didascalie divertenti che spopolano su internet giorno dopo giorno, diventate ormai un vero e proprio fenomeno virale. Sul web ce ne sono migliaia, uno più ironico e bizzarro dell’altro. Tutti però mantengono una costante: il font.
Si chiama Impact, il suo nome è forse meno celebre rispetto ai vari Times New Roman, Helvetica e Arial ma i più ferrati in materia lo ricorderanno sicuramente per la sua presenza fissa nei sistemi operativi Windows dei primi anni ’90. La storia dell’Impact risale mezzo secolo fa. Precisamente nel 1965 quando Geoffrey Lee, impiegato in un’agenzia pubblicitaria di Londra, disegnò il carattere per la fonderia di Sheffield Stephenson-Blake. Ne uscì fuori un font dai tratti spessi e le lettere compresse, in compenso la leggibilità era ottima. Lee aveva creato un carattere adatto per essere sovrapposto alle immagini, ma nonostante le evidenti potenzialità non ebbe un grandissimo successo.
La popolarità arrivò trent’anni dopo grazie all’intuizione della Microsoft, società che rilevo i diritti digitali del font utilizzandolo nei propri sistemi operativi insieme ai più noti Times New Roman, Courier, Georgia, Verdana etc. L’enorme diffusione di Windows, nel 1996, coinvolse anche l’Impact, scelto insieme ad altri dieci font nella lista degli undici caratteri raccomandati per la grafica dei siti web da parte del World Wide Web Consortium (W3C) e dell’Internet Engineering Task Force (IETF). A premiarlo non furono tanto le qualità, quanto la compatibilità con quasi tutti i computer. Grazie appunto al successo del prodotto di casa Microsoft.
L’origine del binomio Impact-meme è stato spiegato qualche anno fa da un articolo pubblicato sulla rivista Journal of Visual Culture. Quando gli utenti iniziarono a creare i primissimi meme assemblando immagini e testi scelsero l’Impact per la sua leggibilità. Esaltando quella qualità incompresa mezzo secolo prima. Il meccanismo virale ha poi fatto il resto.